Cultura

Un intenso monologo fa rivivere la figura di don Milani

Con il bel testo di Francesco Niccolini e Luigi D’Elia e l’intensa interpretazione di quest’ultimo, diretto da Fabrizio Saccomanno, Cammelli a Barbiana. Don Lorenzo Milani e la sua scuola (ieri sera al Foce per la rassegna Longlake Festival Lugano) ci ha trasportato nella vita di questo prete che fu scomodo, sempre in polemica nei confronti delle autorità religiose e scolastiche, ma che ora è considerato una pietra miliare in ambito pedagogico e non solo. Eccolo dunque il “signorino” cresciuto in una ricca famiglia fiorentina, predestinato a rispecchiarne le tradizionali orme professionali, ma che a scuola era un disastro, sempre ribelle e sopra le righe, deciso poi a seguire, rompendo tutti gli schemi, una vocazione artistica e in seguito pure fidanzato… Ma succede qualcosa, c’è la guerra, c’è l’umanità sofferente che s’incarna in un uomo sotto le macerie e c’è la famosa e ineludibile chiamata…

Luigi D’Elia durante lo spettacolo “Cammelli a Barbiana. Don Lorenzo Milani e la sua scuola”.

Ribelle resterà ma si farà prete. Ne condividiamo il percorso, attraverso il monologo che procede ora quasi sottovoce, ora esuberante nei picchi esistenziali ed energetici degli eventi, dalla prima parrocchia all’arrivo a Barbiana, dove non c’era nulla, tutto da costruire e dove ogni esperienza s’immergeva nella pratica del fare di quel mondo contadino, le cui creature più fragili, i bambini, furono chiamati a raccolta in un esperimento diventato proverbiale. C’erano solo le mani, dalle mani e dalla volontà nasce la scuola priva di libri, di banchi, di quaderni, di penne, arriveranno dopo. Il ribelle saprà tenere l’ordine, verranno gli intellettuali, i moniti, le denunce, persino un processo contro la sua libertà di pensiero e di parola. Ma lui testardamente andrà avanti, fino alla fine, malato, fino a quell’accusa, diventata un monito riformatore, la famosa Lettera a una professoressa scritta insieme a suoi ragazzi. L’indomito prete morirà sapendo di essere riuscito a realizzare l’impossibile, cioè di passare attraverso la cruna dell’ago (ecco spiegato il titolo) perché la sua ricchezza era di altro tipo e conquistata nella lotta quotidiana contro l’ottusità e le convenzioni del potere, qualunque esso sia.  E perché gli ultimi veramente erano diventati i primi.

Tutto questo ci ha raccontato l’applaudito spettacolo teatrale riportandoci alla memoria, sulla scia dell’anniversario dell’anno scorso (morì nel 1967), una figura ancora viva e produttrice d’insegnamenti.

Manuela Camponovo

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