Commento

Una poesia inedita per ricordare la tragedia di Hiroshima

La Casa prefetturale della Promozione industriale di Hiroshima, epicentro dell’esplosione del 6 agosto 1945.

Esattamente in questo momento, nel parco del memoriale della pace di Hiroshima, si sta svolgendo la tradizionale cerimonia di commemorazione delle vittime della bomba atomica esplosa il 6 agosto 1945, alle 8:15 del mattino. In questo istante nella città giapponese le campane stanno risuonando nei templi per invitare cittadini e visitatori ad osservare un solenne momento di silenzio, in ricordo delle 140.000 vittime, ma anche degli “hibakusha”, i sopravvissuti al bombardamento atomico che subirono le radiazioni dovute al fallout nucleare.

«Little Boy», è questo il nome della prima bomba atomica della storia ad essere usata in tempo di guerra, lanciata dall’aviatore americano Paul Tibbets su Hiroshima durante la Seconda Guerra Mondiale. Il 9 agosto una sorte analoga toccò a Nagasaki, dove ad esplodere fu «Fat Man», un ordigno più potente ma che causò meno vittime, a causa di un errore nel puntamento della bomba, sganciata qualche chilometro più lontano dal previsto.

 

Le lanterne sul fiume Motoyasu in occasione della Cerimonia di pace delle lanterne galleggianti, in ricordo delle vittime della bomba atomica.

Le stime sul numero dei morti nell’istante dell’attacco nucleare per Hiroshima si aggira sulle 70’000-80’000 persone, mentre per Nagasaki variano dalle 22’000 alle 75’000 vittime. Negli anni che seguirono, le conseguenze delle due devastanti esplosioni portarono il bilancio oltre quota 200’000.

Bastano solo queste cifre a portarci a riflettere, andando oltre alle ragioni che possano spiegare l’abominio commesso: le opinioni, sull’argomento, si dividono tra chi ritiene che l’attacco americano sia stato dettato dalla volontà di prevenire ulteriori spargimenti di sangue e il protrarsi della guerra, evitando così il rischio di un’invasione terrestre del Giappone, che si opponeva a qualsiasi negoziazione, e chi condanna il bombardamento atomico, ritenendo che debba essere considerato un crimine di guerra, in quanto strumento disumano e non necessario dal punto di vista militare.

 

Per ricordare il tristemente noto avvenimento vi propongo una poesia, Hiroshima, scritta dal mio bisnonno Arturo Besozzi, un artista e scrittore comasco di “fede” anarchica, che riflette sull’orrore causato e sull’«umanità distrutta», in cui forse possiamo riconoscere sia le vittime della bomba, ma anche i carnefici, che condannando il popolo della città giapponese a morte certa si sono privati della loro umanità. La poesia di Besozzi dapprima riflette sulla desolazione di Hiroshima, rasa al suolo e bruciata, su cui splende, a tragedia conclusa, un sole «beffardo», ma poi emerge un forte e sincero sdegno per chi professa pace dopo aver portato guerra e distruzione.

Per Besozzi, che ha vissuto quell’orrore, non c’era ancora spazio per la speranza; dichiara infatti, nel finale, che a tale abominio ne seguiranno altri. Sono ormai passati 74 anni dagli attacchi nucleari a Hiroshima e Nagasaki: quello che possiamo fare oggi è ricordare quanto avvenuto e fare quanto in nostro potere per condannarlo ed evitare che la storia si ripeta. Un messaggio di speranza lo lanceranno, questa sera, delle semplici lanterne: cerimonia tradizionale di Hiroshima, che è stata allo stesso scopo adottata da diverse città italiane, come Bologna (nel parco del Cavaticcio) e Verona (nei Giardini Arsenale).

Lucrezia Greppi 

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