Coronavirus

Vaccinazione antinfluenzale e vaccino contro la Covid-19, in quale metà campo stare?

Nella scia dell’emergenza da coronavirus, con tutto quello che ha lasciato e lascia dietro sé, in molti – soprattutto della fascia anagrafica medio-alta – sono nel dubbio se sottoporsi alla vaccinazione antinfluenzale o desistere. È in corso una campagna anche mediatica che spinge a vaccinarsi, ma non mancano motivi di dubbio, di perplessità, anche di diffidenza di fronte a questa scelta. La prudenza confina molto spesso con il campo della paura. Su questa delicata materia abbiamo intervistato Fabio Truc, ricercatore, fisico teorico e docente universitario (a Parigi, dove sta studiando come una cellula possa sviluppare un cancro).

È in pieno svolgimento la campagna per la vaccinazione antinfluenzale, in vista dell’inverno e molti si interrogano su cosa fare…
Qui si vedono scuole di pensiero diverse tra loro. I clinici, i medici, i virologi, gli epidemiologi sono tutti abbastanza propensi nel suggerire il vaccino antinfluenzale. Concettualmente è una buona indicazione: si cerca di mettere al riparo la popolazione dal rischio-influenza – già in agguato e prossima – alleggerendo le strutture ospedaliere dal riversarsi in massa di pazienti con sintomi influenzali o parainfluenzali che potrebbe anche far pensare alla covid. Il medico a quel punto sa che se il paziente è stato vaccinato, le probabilità che quella non sia un’influenza sono molto alte e riesce a fare una diagnosi tempestiva, evitando l’intasamento dei Pronto Soccorso. Sono in molti a consigliare questa opzione.

Come sempre si creano due fronti, favorevoli e contrari, con il risultato che il Signor Rossi di turno non sa più che pesce pigliare…
Si sa che i vaccini vanno a stimolare il sistema immunitario. A questo punto si dovrà verificare statisticamente, sui grandi numeri, quali sono gli effetti del vaccino sull’organismo umano. La scienza ufficiale è molto orientata sulle vaccinazioni. Io faccio sommessamente presente che l’esperienza di Bergamo e Brescia qualcosa dovrebbe pur dirci: perlomeno cerchiamo di essere prudenti. Non abbiamo capito tutto.

Al bivio della vaccinazione antinfluenzale lei sceglie la strada del dubbio. Vuole spiegare perché?
C’è una piccolissima obiezione che ci tengo a sollevare non per essere anti-vaccinazione, ma per mettere in campo tutte le informazioni di cui disponiamo.
Esiste un articolo pubblicato a gennaio 2020 sulla rivista specialistica “Vaccine” (G. Wolff: Influenza vaccination and respiratory virus interference among Departement of Defence personnel during the 2017-2018 influenza season) in cui si studiano gli effetti del vaccino antiinfluenzale somministrato al personale del Dipartimento americano della Difesa. Lo studio era finalizzato a verificare se la vaccinazione antinfluenzale avesse accresciuto il rischio di contrarre altre malattie respiratorie causate da virus diversi da quello influenzale, un fenomeno conosciuto come interferenza virale. Il risultato di questa analisi ha evidenziato una maggiore incidenza di malattie respiratorie proprio da coronavirus nei soggetti vaccinati contro l’influenza rispetto al gruppo di controllo dei non vaccinati. Questo è un dato da non sottovalutare. Nell’economia di una scelta difficile come quella di vaccinare in massa la popolazione, questo studio americano è da tener presente. In particolare nelle province di Bergamo e Brescia, duramente provate dalla “covid-19” (la malattia provocata dal SARS CoV-2) si sente parlare delle vaccinazioni antinfluenzali di massa che potrebbero aver avuto un ruolo nell’incidenza di ricoveri e decessi. Non abbiamo dati certi per smentire o accreditare questa tesi: il numero dei morti è stato altissimo e non abbiamo capito perché. Teniamo conto dell’esperienza americana.

Lei si farà vaccinare contro l’influenza?
Alla luce di quanto detto, non lo farò e suggerirò ai miei familiari di non farlo. Ho visto più volte al lavoro il meccanismo delle interferenze virali. Per mia scelta, non mi sono mai vaccinato contro l’influenza, non lo farò in una situazione complessa come questa.

Intanto, un giorno sì e l’altro pure si parla dei vaccini che dovrebbero contrastare la pandemia di “covid-19” e si sentono mille voci da esperti a vario titolo. Il risultato finale è che non si sa più a chi credere, e in particolare se il vaccino sarà pronto entro pochi mesi, come qualcuno assicura, oppure se bisognerà attendere più a lungo, secondo la posizione di ricercatori meno ottimisti sulla tempistica. E di transenna ci si chiede se fidarsi comunque oppure desistere fino a quando sarà fatta un’adeguata sperimentazione.

Prof. Truc, a prescindere dalle posizioni personali in materia di vaccini, per quello contro “covid-19” a che punto è arrivata la ricerca scientificamente rigorosa?
I vaccini stanno diventando sempre di più una questione di “big-pharma”, quindi un problema squisitamente e forse eminentemente finanziario. Possiamo immaginare che chi riuscirà a produrre un vaccino efficace accumulerà guadagni stellari. Stiamo vedendo fatti molto inquietanti. In riviste come “Lancet” o “New England Journal Medicine” e altre vengono pubblicati articoli sulla corsa ai vaccini: dove non vengono correttamente illustrati i punti scientificamente nodali di tali studi. Quando agli autori di questi articoli sono richiesti particolari più dettagliati su come sono stati realizzati i vaccini e con che modalità vengono sperimentati sull’uomo, le risposte sono spesso evasive. Una casa farmaceutica ha addirittura bloccato la sperimentazione a fronte di un gravissimo effetto collaterale prodotto su un paziente, in seguito l’allarme è rientrato e la sperimentazione ha potuto riprendere il suo corso. Per usare eufemismi, la situazione si presenta molto confusa e fluida tra gli scienziati in corsa per arrivare prima possibile al traguardo più atteso su scala globale.

Ma lei da ricercatore che idea ha maturato?
Se questo virus andrà a stabilizzarsi dal punto di vista del suo genoma, allora è corretto pensare a un vaccino, che potrebbe conferire un’immunità di lunga durata. Se però questo virus continua a mutare non sarà utile puntare ad un vaccino che possa dare una protezione permanente. O riusciamo a individuare particolari proteine, molecole, specifiche regioni di genoma del virus che non mutano, e allora realizzare un vaccino può essere garanzia di una certa copertura, altrimenti si rischia di creare un vaccino che fra due mesi è inefficace. Per giunta pare che fin qui gli anticorpi, le IGG (immunoglobuline di tipo G che sono gli anticorpi permanenti, una sorta di proiettili specifici contro il coronavirus), permangano per poco tempo nell’organismo. In 3-4 mesi si rileva che questi anticorpi decadono. È arduo stabilire quanti anticorpi sono necessari per avere una copertura efficace … Al momento non siamo in grado di definirlo con certezza, i fatti acquisiti però sembrano confermare che questi anticorpi scompaiono abbastanza in fretta e quindi ci lasciano di nuovo vulnerabili, ai piedi della scala (pur tenendo presente nel nostro sistema immunitario esistono le cosiddette cellule-memoria in grado di “ricordare” i patogeni con cui sono venute a contatto). La mia personale opinione è che sarebbe più opportuno puntare sulla prevenzione e studiare molecole in grado di proteggerci o comunque di meglio curare questa covid-19. Abbiamo già imparato a difenderci molto meglio, ad esempio con gli anticoagulanti, le eparine a basso peso molecolare, ecc. Potremmo investire più tempo e denaro in questa direzione.

Giuseppe Zois

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