Commento

Viaggio nei campi di sterminio dimenticati dell’Europa orientale

Raro leggere un libro al tempo stesso scorrevole e documentato sui campi di sterminio in Europa orientale: ci ha pensato Frediano Sessi – uno dei massimi storici della Shoah in Italia – che con il suo Oltre Auschwitz (Marsilio 2024) parla dell’Olocausto rimosso. Bełżec, Sobibór, Treblinka, Chełmno e Majdanek furono le località prescelte per portare a termine in Europa l’eliminazione degli ebrei dell’Est, per un totale di oltre un milione e mezzo di ebrei. Luoghi progettati e costruiti per funzionare solo come strutture omicide, molto diversi dai Lager, giacché non prevedevano nessuna possibilità di sopravvivenza. Di questi luoghi c’è la quasi totale assenza di tracce oggi. Pochi i documenti giunti fino a noi. Il volume procede in maniera analitica: passa uno ad uno i campi, i comandanti delle SS (decine e decine di biografie riportate), lo stato archeologico, i luoghi della memoria, i processi alle autorità.

Oltre Auschwitz, sono cinque i campi di sterminio, tre dei quali concepiti nell’Operazione Reinhard –Bełżec, Sobibór, Treblinka – attivi tra la fine del 1941 e l’inizio del 1942. Anzitutto, il contesto. Per circa seicento anni, in Polonia, gli ebrei hanno vissuto in un alternarsi di episodi di ostilità e di cooperazione con la popolazione polacca. Chełmno fu il primo centro messo in funzione. Qui lo sterminio era realizzato con camion a gas – un prototipo sperimentale, viste le difficoltà delle fucilazioni all’aperto. I nazisti hanno cercato di cancellare ogni traccia di questa struttura, usata anche nell’ambito del programma “Eutanasia” dei disabili. Dopo la distruzione dei campi di sterminio, le SS dell’Aktion Reinhardt furono spostate per combattere i partigiani jugoslavi sull’Adriatico, nella speranza che potessero portare con sé il segreto fino alla morte in battaglia. «Visitatori che si avventurano nei siti dei centri di sterminio, escludendo Auschwitz, sono molto pochi», avverte Sessi.

Per questo «è necessario conoscerne la storia per capire che non furono la malvagità umana e nemmeno alcune migliaia di burocrati banali». L’Operazione Reinhardt si concluse con l’eliminazione degli ebrei a Majdanek attuata secondo le direttive del generale di divisione SS Jakob Sporrenberg, che aveva sostituito Odilo Globočnik, il maggiore responsabile dell’Aktion Reinhardt, trasferito in Italia nel settembre 1943. Nei campi di sterminio, ricorda Sessi, sopravvissero meno dello 0,01 per cento. Aggredita la Polonia, si creò il Governatorato Generale. Il 10 ottobre Joseph Goebbels scrisse sul suo diario: «Il giudizio del Führer sui polacchi è senza rimedio. Più animali che esseri umani, totalmente stupidi e amorfi». I tedeschi stavano preparando un vasto piano di espulsione (Nahplan) di proporzioni colossali. Hans Frank, capo del GG, aveva esposto a Heydrich la situazione. Con il crescente numero di ebrei, le risorse alimentari non sarebbero state sufficienti e si doveva trovare una nuova soluzione.

Dopo il fallimento del progetto di concentrare gli ebrei a Lublino (piano Nisko) o in Madagascar (la “soluzione territoriale finale”), per i quattro milioni di ebrei sotto l’influenza territoriale tedesca occorreva una soluzione finale. Con l’aggressione all’URSS, il numero di vittime degli Einsatzgruppen aumentò. L’approccio genocida ideato da Heinrich Himmler, Reinhard Heydrich e Kurt Daluege – responsabile della polizia d’ordine (Ordnungspolizei) coinvolta nell’uccisione degli ebrei insieme agli Einsatzgruppen – portò all’assassinio di due milioni di ebrei tra l’estate 1941 e l’inverno 1943, principalmente attraverso fucilazioni all’aperto. Il 24 agosto 1941, si decise di interrompere l’Aktion T4 in Germania a causa delle crescenti proteste della popolazione e gli appelli delle Chiese cattolica e protestante – il programma continuò sotto il nuovo nome di Aktion 14f13. L’ottobre 1941 segnò una svolta nella politica antiebraica nazista, passando dalla ricerca di una soluzione territoriale a un’approvazione del genocidio.

Kulmhof fu il sito del primo centro di sterminio, dove gli ebrei venivano eliminati col gas. L’operazione Reinhardt mirava all’eliminazione definitiva degli ebrei dell’Europa orientale e alla confisca totale dei loro beni. «Tra coloro che si misero attivamente al servizio del Reich hitleriano non ci furono solo uomini dei ceti bassi senza una cultura e in cerca di un’occupazione redditizia, del successo o del potere. Furono molti anche gli intellettuali: giuristi, economisti, filosofi, teologi, linguisti, storici, architetti, demografi e docenti universitari che insieme agli alti gerarchi del partito teorizzarono, pianificarono e realizzarono con giustificazioni razionali e pseudoscientifiche l’eliminazione di milioni di individui considerati di razza inferiore, per realizzare l’utopia di una nuova Europa ariana». A Kulmhof, circa in 350mila persero la vita. L’esperienza maturata a Chełmno fornì un modello per la concezione dei campi di Belzec, Sobibór e Treblinka. Successivamente, ci si sposta a Bełżec.

Christian Wirth, ispettore dei centri medici del progetto “Eutanasia”, fu anche il comandante di Bełżec. Il 1° agosto 1942 fu nominato ispettore generale dei campi dell’Aktion Reinhardt. La limitata capacità omicida delle prime tre camere a gas costrinse i tedeschi a effettuare una selezione preliminare degli ebrei, basata sul criterio della capacità lavorativa. Bełżec riusciva a eliminare circa 5mila persone al giorno. Il monossido di carbonio era prodotto da due motori di carri armati di fabbricazione sovietica. Quando le vittime arrivavano all’edificio delle camere a gas, venivano brutalmente picchiate per costringerle ad entrare. Il processo nel suo complesso durava dai venti ai trenta minuti, ma le vittime venivano lasciate nelle camere a gas per circa quindici minuti aggiuntivi. Al termine dell’operazione, gli Arbeitsjuden trascinavano i corpi fuori dalle camere a gas, che dovevano essere pulite. Talvolta veniva scoperto qualche bambino miracolosamente sopravvissuto: veniva immediatamente fucilato.

I corpi venivano poi trasportati verso le fosse comuni. Gli Arbeitsjuden cercavano i denti d’oro nella bocca dei morti. Alla fine della giornata, l’oro fuso in lingotti veniva consegnato al comandante Gottlieb Hering. Gli aguzzini poi macinarono le ossa rimanenti utilizzando mulini per cereali requisiti dalla popolazione. Le ceneri vennero rimescolate nelle fosse. In primavera del 1943, Wirth ordinò di piantare centinaia di alberi e impedire l’accesso all’area. A differenza di Treblinka e Sobibór, costruiti lontano dai centri abitati in zone boschive, Bełżec era a cinquecento metri dalla stazione lungo la linea Leopoli-Lublino-Varsavia. Le camere a gas di Sobibór iniziarono ad operare nel maggio 1942. Fu il secondo centro di sterminio dell’Aktion Reinhardt. Richard Thomalla ne fu il primo responsabile. Successivamente, arrivò Franz Stangl. La sera del 10 ottobre 1943, le autorità del campo concessero un incontro agli ebrei lavoratori in occasione dello Yom Kippur.

Il movimento clandestino di resistenza a Sobibór organizzò un’insurrezione il 13 ottobre. Nove SS uccise, una dispersa, una ferita, due guardie fucilate e trecento ebrei fuggiti. Con la soppressione del campo di Sobibór si concluse l’Aktion Reinhardt. Qui furono assassinati in 200mila. Treblinka era il terzo centro dell’Operazione Reinhardt. Il 9 giugno 1942, il giorno dei funerali di Heydrich, Himmler dichiarò che era «indispensabile fare tabula rasa degli ebrei». Per conseguire questo obiettivo, si decise di fornire a Globočnik un nuovo strumento e di inaugurare un altro luogo dedicato all’eliminazione dei nemici del Reich. L’ingente flusso di ebrei contribuì alle gravi difficoltà operative della nuova struttura. Il sottotenente SS dottor Irmfried Eberl, precedentemente responsabile del programma Eutanasia a Bernburg, si rivelò incapace di gestire l’alto numero di arrivi a Treblinka. Quando Wirth arrivò a Treblinka, si rese conto che Eberl non era più in grado di dirigere il campo.

Dopo la guerra avrebbe confessato alla giornalista Gitta Sereny: «Le baracche dove si spogliavano […] era un luogo che io stesso respingevo dal più profondo […]. Lo evitavo con ogni mezzo». Nel febbraio del 1943, i nazisti optarono per la cremazione dei cadaveri delle vittime all’aperto. Nel sistema di Wirth, un ebreo assassinato con il gas non era considerato ancora eliminato. Fu istituito un Kommando incaricato di eseguire tutte le operazioni del dopo-morte. Successivamente, entravano in azione gli addetti alle pulizie, incaricati di riordinare e pulire tutto prima dell’arrivo di un altro gruppo. Non doveva rimanere alcuna traccia di sangue, i muri dovevano essere lavati e, se necessario, un imbianchino si occupava di ridipingere le pareti. A Treblinka, l’operazione di cancellazione delle tracce dei cadaveri iniziò alla fine di gennaio 1943. Treblinka era ormai sinonimo di morte certa, così i nazisti sostituirono il nome con “Obermajdan”.

Il vescovo Alois Hudal, del collegio romano di Santa Maria dell’Anima, contribuì al salvataggio di Stangl. Che con un nuovo passaporto e un visto per la Siria, si rifugiò a Damasco, dunque in Brasile. Qui lavorò presso la Volkswagen, utilizzando con il suo vero nome. Nel 1967, fu identificato e arrestato, anche su segnalazione di Simon Wiesenthal. Fu condannato all’ergastolo. A Sereny disse: «Per quello che ho fatto la mia coscienza è pulita […]. Non ho fatto del male intenzionalmente a nessuno […]. Ma ero lì … E perciò sì, in realtà condivido la colpa». Stangl morì il 28 giugno 1971. «Credo sia morto perché alla fine, sia pure per un momento, s’era messo di fronte a se stesso e aveva detto la verità», scrisse Sereny. Sessi osserva che all’interno dei confini della Shoah c’era spazio per una gamma di collaboratori. I polacchi spesso offrirono assistenza ai carnefici.

L’impiego dell’archeologia nello studio della Shoah ha permesso di scoprire tracce che sembravano perdute per sempre. In Germania Ovest, più che nella Germania Est, migliaia di membri delle élite, con ruoli sia nelle istituzioni pubbliche che private durante il nazismo, hanno ottenuto una seconda possibilità, ritornando a ricoprire incarichi di potere. Nell’immediato dopoguerra, raccogliere prove risultava difficile. I siti di Belzec, Sobibór e Treblinka erano stati smantellati. Inoltre, i terreni circostanti erano rimasti incustoditi e soggetti all’azione della popolazione locale, che qui sperava di recuperare oggetti preziosi. A Majdanek, le ceneri ritrovate nel sito sono oggi nel mausoleo. A Bełżec, i luoghi di sepoltura furono riaperti con l’ausilio di macchinari pesanti. A Sobibór conservate, gli scavi condotti sono stati tra i più ampi nella storia dell’archeologia dell’Olocausto. Secondo Sessi, i luoghi della Shoah in Europa hanno dimensioni che solo oggi cominciamo a comprendere.

Per quanto riguarda i memoriali, a Chełmno la prima idea di un memoriale prese forma nel 1945 per iniziativa di alcuni abitanti di Kolo, il vicino villaggio dove tutta la comunità ebraica venne sterminata con i camion a gas. Riguardo ai processi, i procedimenti giudiziari contro gli esecutori dell’Aktion Reinhardt hanno richiesto un lungo periodo di preparazione. La denazificazione (1945-1949) ha implicato che, se si voleva che l’apparato statale continuasse a funzionare, fosse impossibile escludere repentinamente chiunque fosse sospettato di aver collaborato. Successivamente, seguì il periodo delle amnistie (1949-1958), durante il quale la pena massima non poteva superare i quindici anni di carcere. E spesso veniva vanificata dalla prescrizione. La svolta (1958-1979) nell’abbandono dell’indulgenza della Germania adenaueriana nei confronti degli ex nazisti subì una battuta d’arresto con il processo di Ulm nell’aprile del 1958, in cui alcuni capi degli Einsatzgruppen furono portati davanti alla corte.

Sugli scandali delle trasmissioni statunitensi “Holocaust”, il Bundestag decise di abolire la prescrizione per i crimini nazisti. Tra il 1945 e il 1992, secondo quanto riportato da Sessi, in Germania occidentale circa 100mila persone sono state portate davanti ai tribunali. Non conosceremo mai l’identità di ciascun ebreo assassinato, conclude Sessi. «La difficoltà di raggiungere con mezzi pubblici i siti di questo crimine allontana ulteriormente gli sguardi e il pensiero da quel che è accaduto. Chi visita quei territori percorre i sentieri delle foreste che nascondevano i centri di sterminio e raggiunge a fatica le radure dove sono state scavate le fosse comuni, si trova immerso in un grande silenzio, in una solitudine inquietante che solo parzialmente rende conto dello smarrimento che colse gli ebrei». L’80 per cento dei 121 uomini dell’operazione T4 e attivi nei campi di sterminio era nato tra il 1900 e il 1914.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

In cima