Lutto

Addio all’attore francese Philippe Leroy

Philippe Leroy in Femina ridens (1969).

Si è spento il 1° giugno a Roma, a 93 anni, Philippe Leroy, per decenni uno dei volti più noti del cinema e della TV italiana, paese che lo aveva “adottato” all’inizio degli anni Sessanta.

Nato a Parigi il 15 ottobre del 1930 come Philippe Leroy-Beaulieu, erede di una famiglia aristocratica con sei generazioni di soldati e ambasciatori alle spalle, sdegnoso del suo titolo di marchese, va a scuola dai gesuiti, a soli 17 anni si imbarca come mozzo su una nave per l’America come un personaggio di Joseph Conrad. Infatti, una volta rientrato in patria finisce nella Legione Straniera e va a combattere in Indocina ed Algeria, arruolato come paracadutista anche se non si butterà mai da un aereo fino a dopo i 50 anni. Torna dall’Algeria con il grado di capitano e le medaglie sul petto (due legion d’onore e una croce al valore), ma ben presto capisce che è meglio trovarsi un lavoro, foss’anche al circo (lavorava coi cavalli) o pilota di bob o navigatore sulle barche off-shore. Un parente lo aiuta a assaggiare l’aria del cinema e Jacques Becker – colpito dal suo fisico asciutto, l’aria di chi ha visto il pericolo da vicino e conosce le armi – lo arruola nel cast del suo carcerario film che gli regala un inatteso successo mondiale.

L’aria in Francia però è pesante alla vigilia dell’indipendenza d’Algeria e Leroy, passati da poco i 30 anni, capisce che per lui è meglio non restare. Grazie al clima favorevole delle coproduzioni cinematografiche tra Italia e Francia passa la frontiera e sfrutta le poche conoscenze accumulate a Parigi per ottenere qualche ruolo come attore. Lo aiutano Vittorio Caprioli e Franca Valeri che ha incontrato in teatro ed è Caprioli a offrirgli un ruolo ne Leoni al sole (1961) sfruttando la sua seconda dote: maniere perfette, portamento aristocratico, aria naturale da gentiluomo. Per entrambi è una sorta di debutto, ma il giovane francese ha molte frecce al suo arco e viene “adottato” a Cinecittà. Dall’avventuroso Riccardo Freda all’impegnato Giancarlo De Bosio, dall’amico Gianni Puccini (quasi un pigmalione) al popolare Luigi Zampa, trova sempre un ruolo adatto, spesso come “villain” crudele e freddo. Poi il colpo di fortuna nel 1965 con Sette uomini d’oro di Marco Vicario.

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