Riflessione

Guerra e responsabilità: un connubio sempre più precario

Un drone Ethan, in servizio presso l’aereonautica militare israeliana.

Da settimane i dubbi internazionali circa la “proporzionalità” della guerra israeliana contro il terrorismo di Hamas sono notevolmente aumentati, complici le immagini che hanno fatto il giro del mondo e le testimonianze delle organizzazioni umanitarie. Per quanto sia legittimo e doveroso porsi la domanda circa la responsabilità di Israele per la situazione umanitaria sempre più grave nella Striscia di Gaza, sembra poco costruttiva l’accusa del Sudafrica – che da sempre denuncia l’“apartheid” palestinese – di un presunto genocidio. Nei due giorni passati, presso la Corte penale internazionale dell’Aja (da non confondere con il Tribunale internazionale) sono avvenute le prese di posizione sia dell’accusa che della difesa per la quale Israele ha inviato l’ex capo della sua Corte suprema, Aharon Barak, sopravvissuto alla Shoah e un critico deciso di Netanyahu.

Mentre si aspetta in questi giorni una decisione rapida circa l’ipotesi di imporre l’interruzione delle azioni belliche, il vero giudizio sulle accuse potrà richiedere mesi o anni. Intanto Hamas – dichiaratamente intenzionato a cancellare l’esistenza dello Stato d’Israele – ha applaudito l’iniziativa sudafricana. Esperti internazionali ritengono però molto improbabile che la Corte promuova l’accusa: il criterio per “genocidio” è l’intenzione dietro la violenza adoperata, non il numero delle vittime civili, che con 23 mila ha ampiamente superato quello di due anni di guerra in Ucraina. Dall’altra parte, Israele sta preparando – come riporta il Wall Street Journal – il processo contro il massacro del 7 ottobre, atteso come il procedimento legale più importante dopo quello contro Eichmann nel 1961.

Nel frattempo, dopo l’uccisione del numero due di Hamas, gli attacchi di Hezbollah nel Nord dello Stato ebraico aumentano e costituiscono un pericolo enorme per Israele: dal 2006, l’organizzazione ha aumentato l’arsenale delle sue “armi intelligenti” da 50 a oltre 2000 unità. Tecnologie di intelligenza artificiale vengono però adoperate anche da parte d’Israele, tra l’altro per trovare obiettivi di attacco nella Striscia di Gaza, finora più di 22 mila: e si pone la domanda come valutare tale «maggiore precisione», criticata da Biden come «bombardamenti indiscriminati». Indubbiamente, con la fissazione di migliaia di obiettivi ogni giorno, «la capacità delle persone di monitorarli, per assicurarsi che le informazioni siano solide, si riduce drasticamente», come affermano fonti israeliane.

Nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace il 1° gennaio, Papa Francesco ha condannato i «sistemi d’arma autonomi letali» come «grave motivo di preoccupazione etica» in quanto delegano le decisioni sempre più spesso ad «algoritmi». Così l’inizio di quest’anno, segnato pure dall’attacco di 90 droni kamikaze russi su città ucraine, pone urgenti domande circa la responsabilità in guerra.

Markus Krienke

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