Editoriale

Invito al viaggio: esplorare vuol dire (anche) esplorarsi

Viaggiare è un modo per scoprire e conoscere se stessi: al di là della missione, della scoperta o del semplice tragitto verso nuove mete e orizzonti, il viaggio è il fine e il mezzo dell’errare umano. Studiare e fare esperienza all’estero non è solo aggiungere nuova conoscenza ad un bagaglio più o meno ricco di sapere; è anche entrare in una nuova dimensione mentale; è vedere cose e persone in maniera diversa.

Non è un caso che i rampolli dell’alta borghesia e della nobiltà dei secoli passati venissero mandati all’estero a farsi le ossa nei campi in cui, si presumeva, avrebbero poi brillato. Una volta tornati, questi avevano una visione diversa della terra – e dei problemi – che avevano lasciato alle spalle. In teoria, tornavano dopo aver “capito come gira il mondo”. A chi ha l’intelligenza, il coraggio e la voglia di abbracciare i cambiamenti, lo studio all’estero offre in potenza un futuro di successo; perché è proprio una nuova ed eterogenea visione d’insieme che, teoricamente, l’individuo incamera a seguito del suo ritorno in patria.

Sono tanti i momenti che uno studente può ricordare come formativi: l’esperienza universitaria è una di queste, ma – nello specifico – la località di studio gioca un ruolo preponderante. Molti non si troverebbero bene ovunque; altri si trovano bene dappertutto. Poi ci quelli che si sanno adattare e, camaleonticamente, si confanno alle situazioni e a diversi “sfondi” sociali della vita. Il mondo è di chi si sa adattare: solo che l’adattamento è un qualcosa di sconosciuto allo studente che, abituato a ragionare nelle burocratiche logiche scolastiche o costretto alla medesima routine nello stesso luogo, il più delle volte non riesce ad intravedere (o esplorare) gli orizzonti futuri.

Lo studio senza uno sbocco “pratico” – che sia all’estero o nel paese d’origine – è abbastanza vano: è importante conciliare l’accumulo di pensiero appreso sui banchi universitari con attività extra-scolastiche. D’altra parte, il tanto detestato “studio-lavoro” non può essere dettato semplicemente dalla necessità di racimolare qualche quattrino, quanto dalla fame di voler imparar ed esplorare nuovi mondi. Studiare e al contempo dedicarsi ad altre attività nel mondo del lavoro può aiutare ad aprire la mente: certamente può favorire l’orientamento verso la scelta di un’attività professionale futura, oppure scoraggiarla.

Studiare all’estero è esplorare doppiamente: da una parte l’“esplorazione dottrinale” delle nozioni scolastiche sui libri di testo, dall’altra l’“esplorazione pratica” di una nuova realtà, di un nuovo eterogeneo miscuglio culturale. La prima si può fare ovunque; la seconda è una prerogativa di chi sfida se stesso, le proprie sicurezze, i propri agi, per abbracciare un futuro diverso. Il viaggio all’estero, se conciliato allo studio, generalmente dà un senso di libertà. E in fondo, quello dello studio è un viaggio all’interno della libertà: la libertà di pensiero.

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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