Editoriale

“Un amore” di Dino Buzzati compie sessant’anni

Il romanzo Un amore di Dino Buzzati compie sessant’anni. Ideato nel 1959, più che di fantasia – in cui l’autore Premio Strega indiscutibilmente spiccava– si tratta di un’opera che ripercorre il misterioso rapporto tra Buzzati e il sesso femminile. Ma anche cosa voglia dire un vero amore. Un amore autentico è anche un amore complesso e non sempre armonico. Tremendamente imperfetto, magicamente intrigante. L’autore narra in prima persona la storia di Antonio Dorigo, architetto milanese sulla soglia dei cinquant’anni e protagonista del romanzo che si affaccia sulla Milano degli anni Sessanta. Grigia e industriale, nel bel mezzo del boom economico, tra borghesia e proletariato, fumi di fabbriche e rombi di motore. Il protagonista vive un’esistenza tranquilla, allietata solo dal piacere nei bordelli e dalle frequentazioni di amici e colleghi. Dorigo non riesce ad avere dei rapporti sani con le donne; non può a fare a meno della prostituzione.

«La prostituzione forse lo attraeva proprio per la sua crudele e vergognosa assurdità. La donna, forse a motivo dell’educazione familiare, gli era parsa sempre una creatura straniera. Con una donna non era mai riuscito ad avere la confidenza che aveva con gli amici. La donna era sempre per lui la creatura di un altro mondo, vagamente superiore e indecifrabile». Un giorno Dorigo incontra una giovane ragazza che nel tempo libero esercita “la professione”: si chiama Laide. Avvolta nel mistero, stimola sin da subito l’attenzione del protagonista. Inizialmente, Dorigo non sembra essere corrisposto dalla giovane. Ha oltre il doppio dei suoi anni, ma grazie a lei scopre l’amore oltre il sesso. La passione degenera in desiderio tormentato. «Il perverso compiacimento di vedere una cosa bella, giovane e pulita, assoggettarsi come schiava alle pratiche più sconce» eccitava l’architetto che, come Buzzati, riconosceva le barriere virtuali tra lui e il mondo femminile.

Le donne, per entrambi, erano figure tra l’illecito e il proibito, una specie di mito. Dorigo si infatua della ragazza e non riesce a pensare ad altro. Sopporta pure mortificanti umiliazioni anche solo per stare con la giovane e parlarle. La Laide, ballerina alla Scala, è una ragazzina gelosa e viziata, capricciosa e opportunista, viziata e tentatrice. Risveglia nel Dorigo il desiderio di possesso. L’architetto vive nella costante ansia che la donna potrebbe sfuggirgli da un momento all’altro. O peggio: che possa andare con altri. Sebbene lei lo disprezzi e lo usi per i propri fini, Dorigo sembra non poter fare a meno della Laide. A tratti appare ingenuo, infantile: ingoia tutto, per amore e desiderio di più amore. Sottostà alla crudeltà della giovinetta. Il ribellismo della Laide è sia apprezzato che temuto dal Dorigo. La perfida bugiarda ribalta l’esistenza dell’architetto.

«Dio mio possibile che non riuscisse a pensare all’altro? La mente era fissa lì, sempre sullo stesso argomento tormentoso». Come un incanto. Buzzati spiega come Dorigo fosse «prigioniero di un amore falso e sbagliato, il cervello non era più il suo, c’era entrata la Laide». Dopo numerose messe in scena e apparenti tradimenti, la ragazza gli rivelerà di aspettare un bambino da lui. Nel romanzo, Buzzati descrive il complesso sentimento di impotenza e desiderio, tormento e ansia, che affligge Dorigo. Scrive di una «tensione immobile e dolorosa e di tutto l’essere, come quando da un momento all’altro può accadere una cosa spaventosa e si resta inarcati allo spasimo, l’angoscia, l’ansia, l’umiliazione, il disperato bisogno, la debolezza, il desiderio, la malattia mescolati tutti insieme a formare un blocco, un patimento totale e compatto».

Negli anni Sessanta, Buzzati incontrò Almerina Antoniazzi, giovane modella che posava per un servizio della Domenica del Corriere: lei aveva diciannove anni, lui cinquantatré. Buzzati amava tremendamente la ragazza che poi sposò. Se ne infischiava del perbenismo meneghino di quegli anni – i giornali chiamavano l’Almerina la sposa bambina. Di Dorigo Buzzati scrive che «lui la amava per se stessa, per quello che rappresentava di femmina, di capriccio, di giovinezza, di genuinità popolana, di malizia, di inverecondia, di sfrontatezza, di libertà, di mistero. Era il simbolo di un mondo plebeo, notturno, gaio, vizioso, scelleratamente sicuro di sé». E ancora: «Come era vera, come era genuina, come era bella. Lui non l’avrebbe mai raggiunta. Lei era fuori, era straniera, apparteneva ad un’umanità diversa, irraggiungibile, era l’incarnazione […] di tutto quello che lui finora non aveva ha avuto finora è talmente disprezzava, della follia, delle notti spavalde e condannate».

La donna buzzatiana rappresenta un mondo proibito, irraggiungibile, indecifrabile. Che sconvolge l’esistenza tranquilla di Dorigo architetto e di Buzzati giornalista. L’amore irrazionale – ammesso che possa essere razionale – assorbe Dorigo completamente. «Tutto il mondo si riferisce a lei, senza di lei non c’è più senso nella vita nel lavoro di discorsi nel mangiare nel vestirsi, tutto è assurdo e idiota senza lei e così si apre da qui fin qui uno squarcio orribile dentro di lui, e dallo squarcio un convulso fiume di lacrime esce». Il protagonista non trova più il senso di nulla di fronte a una Laide che lo sfrutta e lo attrae. Ma alla fine trova l’amore, al prezzo di un intenso travaglio di sofferenza, insicurezza, paura, ansia, turbamento. Forse è proprio questo il prezzo del vero amore. Senza sofferenza non c’è l’amore. L’amore non è certezza: è ignoto.

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