Editoriale

Lavoro in Ticino: i dati di cui non si parla

Ufficio regionale di collocamento di Lugano

L’Ufficio regionale di collocamento di Lugano.

Ci sono dei dati di cui ci piace parlare poco. E sono quelli che dicono che le cose in Ticino non vanno bene. O almeno non per tutti. Mai come quest’estate ho incontrato persone giovani e meno giovani confrontate con tante difficoltà.

Prima tra tutte il lavoro. I dati pubblicati dagli istituti di ricerca parlano di migliaia di posti di lavoro vacanti e di difficoltà delle azien-de a trovare collaboratori. Il tasso di disoccupazione della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) è molto basso e vicino al 2%. E allora dove sono i giovani che abbandonano il Cantone dopo aver finito i loro studi o il loro apprendistato? E quelli che non possono rientrare in Ticino perché non ci sono professioni in linea con i loro studi? E poi ci si dovrebbe chiedere dove siano i padri e le madri che lavorano da casa due giorni alla settimana e gli altri tre si spostano in Svizzera interna o gli ultra cinquantenni che dopo trent’anni di lavoro sono stati licenziati e hanno finito il diritto alle indennità di disoccupazione. O ancora i piccoli imprenditori e artigiani che stremati da due anni di pandemia oramai non hanno più fondi a cui attingere. Se le cerchiamo con attenzione queste persone le troviamo in altre statistiche di cui però piace parlare poco.

Per esempio il tasso di disoccupazione calcolato secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) tra aprile e giugno era del 7.2%, ben tre volte il 2.4% della SECO. Qui troviamo anche le persone che non sono iscritte presso gli Uffici regionali di collocamento, ma che cercano un lavoro. E sono sempre tante.
Ma anche guardando all’occupazione vediamo dati poco “raccon-tati”. Negli ultimi dieci anni, la percentuale di occupati residenti in Ticino è diminuita notevolmente in favore dei lavoratori frontalieri. E da qualche parte i lavoratori prima residenti in Ticino devono pur andare. Non a caso, negli ultimi anni è scattato l’allarme demografico che vede un Cantone sempre più invec-chiato e con sempre meno bambini. Probabilmente una relazione c’è anche con il livello dei salari. Di certo non ci piace scriverlo, ma purtroppo i dati parlano di salari stagnanti se non addirittura in diminuzione. E la differenza con il resto della Svizzera diventa sempre più grande.
Guardando ai dati delle finanze pubbliche scopriamo che il nostro Cantone è tra quelli che dà maggiori sussidi. Pensiamo al tema dei premi cassa malati e degli aumenti previsti per il prossimo anno. Senza parlare dei prezzi in generale che aumentano oramai da mesi? Le persone anziane che hanno solo a disposizione le rendite dell’AVS stanno già vivendo sulla pelle la riduzione del loro potere d’acquisto.

Certo le soluzioni non sono semplici, ma la prima cosa da fare è parlare anche dei dati di cui vorremmo sicuramente fare a meno.

Amalia Mirante

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