Commento

Un anno di guerra: quali segnali per il futuro?

Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO.

Nel suo discorso in occasione della triste ricorrenza dell’inizio della guerra, il Segretario generale della NATO Stoltenberg ha detto di aspettarsi una guerra di logoramento e ha quindi aumentato di dieci volte il numero di soldati pronti al combattimento, a seguito della decisione dei Paesi membri di intensificare lo stoccaggio di materiali bellici, inclusi programmi più estesi di addestramento per gli ucraini, ma anche per i moldavi e i georgiani. Mentre un tempo vari Paesi – in primis la Germania – erano restii ad avvicinare il budget militare al 2% del PIL, in settimana il Ministro della Difesa tedesco ha dichiarato che in futuro ciò dovrà essere la misura minima. Nel 2021 l’UE ha registrato un aumento delle spese militari del 6%, mentre la sola Polonia mira quest’anno a raggiungere quota 4% del PIL. E anche se alle richieste sempre più insistenti di Zelensky si è appena tirata una nuova “linea rossa” del “no” a missili e jet, ci troviamo indubitabilmente in una dinamica in cui i distinguo diventano sempre più difficili e le soluzioni non militari si fanno sempre meno probabili. Ancora si cerca di rimanerne fuori, sottolineando che aiutare l’Ucraina a difendersi non significa fare la guerra a Putin, ma, come ha ricordato Jürgen Habermas proprio in settimana, fornire le armi ci impone l’obbligo morale di cercare la pace.

Nella stessa direzione di Stoltenberg ha argomentato Ursula von der Leyen nel suo discorso al Parlamento europeo per l’anniversario della guerra, presentando il decimo pacchetto di sanzioni contro la Russia, e rilevando che gli aiuti economici, militari e umanitari dell’UE all’Ucraina hanno raggiunto i 67 miliardi. Sebbene in Europa la maggioranza della popolazione si dichiari convinta della vittoria ucraina, sono in minoranza quelli che ritengono le sanzioni efficaci. Continua ad essere diviso e altalenante (con un trend negativo) il sostegno della popolazione all’invio di armi in Ucraina, mentre la Svizzera – con un volume di esportazioni di materiale bellico di 742 milioni di franchi nel 2021 e tra i primi 15 produttori di armi al mondo – sta seriamente ripensando, con il 55% degli svizzeri favorevoli, la propria neutralità per consentire ad altri Paesi (come Germania e Danimarca) l’invio di armi prodotte nella Confederazione.

In questo momento, né da parte di Putin, né da quella di Zelensky si può sperare in un “primo passo” verso la pace, ed anzi, proprio in questi giorni aumentano sui due fronti gli indizi per un attacco che entrambi sperano decisivo. Sebbene l’UE e la NATO non abbiano finora agito così male come molti commentatori vogliono far intendere (accusandole di atteggiamenti “guerrafondai” o “tentennanti”, a seconda del fronte su cui sono schierati), ora che le “linee rosse” diventano sempre più difficili da mantenere, esse hanno bisogno di una strategia: nell’immediato riguardo all’Ucraina, e per il dopoguerra circa il rapporto con la Russia.

Markus Krienke

In cima