Commento

Uwe Neumahr ripercorre le cronache dall’abisso di Norimberga

Il castello degli scrittori

Uwe Neumahr ha scritto un libro, Il castello degli scrittori (Marsilio 2023) su autori e giornalisti che hanno seguito il processo di Norimberga nel 1946. Si procede capitolo per capitolo con vere e proprie star della carta stampata e della narrativa, che per una vicenda o per l’altra, si trovano a Norimberga a seguire il processo ai gerarchi nazisti. Abbiamo ampie informazioni sui processi in Baviera, ma la storia di scrittori e giornalisti che vi partecipano rimane pressoché sconosciuta. Un castello requisito alla famiglia Faber-Castell è il sito dove essi dimorano e vivono tra il 1945 e il 1946. Giovani corrispondenti fungono da rilevatori degli eventi, raccogliendo testimonianze e documenti. In un panorama caratterizzato da provocazioni, censure, critiche, disinformazione, rivalità, pregiudizi, stereotipi di genere, relazioni e affetti, ciascuno sperimenta un momento decisivo che plasmerà indelebilmente il proprio destino.

I giornalisti sono come un’apertura su un mondo chiuso, come annota Uwe Neumahr. Il Faberschloss è sia il rifugio che il quartier generale per una selezione di eminenti figure della scrittura e del giornalismo, tra cui Erika Mann, John Dos Passos, Ilja Ehrenburg, Elsa Triolet, Rebecca West e Martha Gellhorn. Ma anche Walter Cronkite, Walter Lippmann, Willy Brandt, Markus Wolf, Peter de Mendelssohn e Gregor von Rezzori. La convivenza in uno spazio così confinato espone i corrispondenti a molte pressioni. Molti competono tra loro per ottenere esclusive e rivelazioni scottanti. Emmy Göring, la moglie di Hermann Göring, è assediata da richieste di interviste, mentre fotografi spiano le consorti degli imputati. Di notte crollano tutte le barriere: si balla. Gli occhi del mondo si concentrano su Norimberga. È la prima volta nella Storia che i capi politici e militari di un regime sono chiamati a rispondere di fronte alla giustizia.

Il processo di Norimberga, voluto dagli americani come espressione dello stato di diritto, non è determinato dal desiderio di vendetta. Gli Stati Uniti cercano di presentare il procedimento come equo e di valutare la responsabilità di ciascun imputato su basi individuali. Martin Bormann viene processato in contumacia, mentre Robert Ley si toglie la vita impiccandosi prima dell’inizio delle udienze. Il 20 novembre 1945 comincia il processo, svolto in quattro lingue. IBM fornisce a titolo gratuito al tribunale un dispositivo speciale per traduzioni simultanee. A Norimberga, come annota Uwe Neumahr, la presenza più consistente è quella della stampa americana. Albert Speer, nelle sue Memorie del Terzo Reich, ricorda i volti sprezzanti in aula. «Rimasi scioccato quando i giornalisti cominciarono a scommettere sulle nostre condanne», scrive. Affiorano, nel corso del libro, le storie degli intellettuali dello Schloss.

Ernst Michel, sopravvissuto di Auschwitz, riesce a fuggire durante una marcia della morte in Sassonia e torna a Mannheim alla ricerca dei pochi familiari sopravvissuti. Quando Göring scopre che tra i reporter c’era un sopravvissuto ad Auschwitz, desidera incontrarlo e lo invita nella sua cella. Tra gli ospiti del campo stampa ci sono anche disegnatori del tribunale e caricaturisti, i quali realizzano illustrazioni degli imputati per editori di giornali e riviste. Nel Press Camp, i giornalisti possono anche dedicarsi allo sport. Ai giornalisti sovietici fu vietato stabilire relazioni personali con chi non provenisse da paesi dell’URSS. I loro articoli erano sottoposti a rigorose verifiche e censura. Durante i fine settimana, i corrispondenti trovano spazio per esplorazioni occasionali, approfittando che l’esercito americano ha requisito alberghi e resort a Garmisch-Partenkirchen e Berchtesgaden. Molti di loro, nelle lettere, sono colpiti dalla bellezza della natura e delle montagne circostanti.

Durante il processo, le immagini sono vivide. Julius Streicher mastica una gomma, Rudolf Hess è soporifero, Franz von Papen si fa notare per la sua impeccabile apparenza e Wilhelm Keitel rimane immobile. Dos Passos è colpito dall’arringa di apertura di Robert Jackson, Procuratore Generale degli Stati Uniti, pronunciata il 20 novembre. Alcuni tedeschi non sospettati di crimini di guerra partecipano al processo, mentre altri agiscono solo come testimoni, come Heinrich Hoffmann o il primo capo della Gestapo, Rudolf Diels. Kästner ritrae i nazisti dall’altra parte delle sbarre. «Alfred Rosenberg non è cambiato, ha sempre mantenuto un colorito cereo e malaticcio». «Walther Funk ha una faccia da rospo brutta e smorta». Dopo due tentativi di togliersi la vita, Hans Frank si chiude in un cupo silenzio. Al contrario, Göring è tutto fuorché pentito, come ricorda Uwe Neumahr. Anche la compagna della Mann, Betty Knox, è a Norimberga.

Viziata, spiritosa e amante della libertà, con i suoi eccessi e la dipendenza da droghe, la Mann incarna il cliché diffuso di una vita d’artista nei Roaring Twenties. Kästner la ritiene patriotticamente americana, mentre Brandt trova irritante il fatto che ella finge di non sapere più parlare tedesco. Uwe Neumahr rievoca anche le storie di Wilhelm Emanuel Süskind, inviato speciale per la Süddeutsche Zeitung. Xiao Qian, un corrispondente cinese, entusiasta del castello. Janet Flanner, che trascorse la maggior parte del tempo nella sua amata Parigi. Anche Triolet, scrittrice e membro della Resistenza francese, diviene oggetto di attacchi personali e politici. Nel 1945 è la prima donna a ricevere il Goncourt. Anche all’epoca, si dice che le fake news sono diffuse. Ad esempio, il 10 aprile 1946, Stars and Stripes pubblica un articolo che suggerisce che il procuratore sovietico Roman Rudenko ha sparato a Göring in Aula.

L’ex Feldmarschall è il protagonista del processo. Dopo la sua cattura alla fine della guerra, Göring chiede di essere condotto da Dwight Eisenhower, allorché spera di essere accolto dagli americani come rappresentante della Germania. Eisenhower non prende in considerazione l’idea di riceverlo. Quando è in cella a Norimberga, i medici iniziano una terapia di disintossicazione dal Paracodin. Dal suo angolo, nell’aula, gode di una visuale ottimale; può appoggiare il gomito su una bassa balaustra e prende appunti, sfruttando la sua influenza sui coimputati. Göring risponde con vigore. Ammette l’uso della violenza durante il Nazismo, ma nega la legittimità del tribunale internazionale, sostenendo che molte delle accuse riguardano questioni di politica interna. «Anche se non riuscirò a persuadere il tribunale, almeno convincerò il popolo tedesco che tutto ciò che ho fatto era per il bene del Reich tedesco».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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