Commento

Il baricentro politico svizzero si è spostato a destra

Con le ultime votazioni federali, la Svizzera ha mostrato il suo volto più tradizionale, spostando di nuovo il baricentro verso destra e riassestando un quadro politico che nel 2019 sembrava voler mutare gli equilibri.

L’UDC con i suoi 9 seggi in più (62 in totale) ha fatto il pienone, cavalcando i temi caldi del momento con soluzioni chiare (anche se solo ipotetiche): le drammatiche guerre in corso e la neutralità elvetica; l’inarrestabile fenomeno migratorio al quale si risponde col numero chiuso (“no a una Svizzera da 10 milioni di abitanti!”); la crisi energetica e la proposta di reintrodurre il nucleare (senza spiegare che il problema energetico lo viviamo oggi, mentre per costruire una centrale nucleare occorrono decenni).

Per contro, l’onda verde di quattro anni fa si è trasformata in un piccolo tsunami che ha travolti gli ecologisti, i quali mostrano così tutti i limiti di una proposta politica che offre risposte limitate rispetto ai grandi temi che preoccupano la popolazione. I Verdi, compresi i Verdi liberali, hanno perso 11 seggi, assestandosi a 23 i Verdi (5 in meno) e a 10 i Verdi liberali (6 in meno). Un vero e proprio ridimensionamento.

Per il resto, tutto più o meno stabile, col Partito socialista che guadagna due seggi, salendo a 41, e il PLR che si conferma – pur in calo di consensi – terza forza politica in Svizzera, conquistando 28 seggi. Il Centro, inverte la rotta, aumenta il consenso, sale a 29 seggi, ma in percentuale resta dietro allo storico rivale liberale-radicale, nonostante il pasticciaccio combinato dall’Ufficio federale di statistica che sbaglia i conteggi, e per tre giorni lo fa salire al terzo posto, rimettendo inutilmente in discussione la formula magica in Consiglio federale (due seggi ai primi tre partiti, uno al quarto).

Fin qui, il dato nazionale. In Ticino, invece, pur confermando la tendenza (cresce la destra, crollano i Verdi), si registra l’inesorabile avanzata dell’UDC che ha il volto rassicurante del presidente nazionale Marco Chiesa e la declamatoria politica degli slogan di Piero Marchesi, continuando così a erodere l’elettorato leghista senza più leader carismatici e progetti politici. Già, la Lega: Lorenzo Quadri, sempre più isolato nel suo stesso partito, pur rieletto è un disco rotto che non convince più. Col suo continuo “al lupo! al lupo!” in tema di migranti e sicurezza, si è presentato in campagna elettorale interessato più alla cadrega (“sa mola mia!”) che non al servizio del Paese. Ora si starà a vedere: il vero banco di prova per i leghisti in caduta libera saranno le Comunali di aprile.

Per i Verdi, l’effetto Greta (Thumberg) del 2019 sembra essere svanito, come sembra essere svanito l’effetto Greta (Gysin) la quale, raccogliendo lo stesso numero di voti di quattro anni fa, marcia sul posto. Le sorprese vengono dalle new entry: Paolo Pamini (UDC) e Simone Gianini (PLR), che entrano al Nazionale con i rieletti Regazzi, Farinelli, Storni, Marchesi, Quadri e Gysin.

A completare il quadro saranno i ballottaggi per il Consiglio agli Stati: in pole position sono Chiesa e Regazzi, ma le sorprese potrebbero venire da eventuali alleanze al centro che potrebbero scombinare i piani.

Luigi Maffezzoli

In cima