Editoriale

Smontare tutte le panzane sul Fascismo storico

«Ah, quando c’era lui!», «Ma ha fatto anche cose buone», oppure «Tutto bene fino all’alleanza con la Germania» sono le più folgoranti tra le idiozie che circolano sul Fascismo e Benito Mussolini. Resistenti allo scorrere del tempo, ancora oggi entrano nel tessuto sociale e comunitario, annidandosi e fortificandosi nei social network, praterie di fake news e campi di allenamento del pregiudizio, dell’intolleranza, del razzismo, dell’Antisemitismo. Ma soprattutto della manomissione storica. Per almeno tentare di arginare smentire panzane, sciocchezze, bugie e luoghi comuni attorno al fenomeno fascista – con un po’ di illusione, ma non ci riuscirà il suo piccolo libro visto lo scarso interesse di molti italiani per la tematica –, in Mussolini ha fatto anche cose buone (Bollati Boringhieri, 2019) Francesco Filippi smonta come un orologiaio tutte le menzogne che in oltre sette decenni si sono accumulate attorno al Fascismo storico.

Come scrive Carlo Greppi nella prefazione al volume («La rivincita della realtà»), Filippi opera una «demolizione del mito del Fascismo buono» in una «breve raccolta di bufale fasciste». Le bugie alimentate dai nostalgici – pochi, fortunatamente – sono molte e stratificate negli anni; proliferano ancora oggi anche grazie all’attitudine dei più di non voler conoscere la realtà dei fatti in sede storica. Filippi avverte che «molte delle bufale sul Fascismo nacquero dal Fascismo stesso», che adoperò un’opera di narrazione pubblica per mantenere stretto il contatto con la realtà del paese e le classi sociali più povere, dunque più vaste. In altri termini, il contatto mussoliniano con la folla – di cui il Duce conosceva bene la psicologia, visto che a suo dire aveva letto decine di volte gli scritti di Gustave Le Bon – serviva a controllare le stesse, tramite la generazione del consenso legato all’uomo forte.

Assistenza gratuita a tutti. Falso. «Il Fascismo non inventò la previdenza in Italia: se ne impossessò, semplicemente.» Il sistema previdenziale nacque nella Germania di Otto von Bismarck (“Assicurazione per vecchiaia e invalidità”, 1888) fu scopiazzato dal Regno d’Italia guidato dal governo di Francesco Crispi (decreto 21 febbraio 1895, numero 21). «Tutti gli italiani lavoratori […] dal 1919 ebbero diritto, per legge, alla pensione», scrive Filippi. «Il Duce arrivò all’Esecutivo del Regno solo nel 1922.»

Tredicesima per tutti. Falso. Quella che fu chiamata “gratifica natalizia” dal 1937 in poi era già diffusa in Francia e Germania e in Italia fu adottata dal regime fascista solo per i colletti bianchi e la borghesia che nel complesso non vedeva di cattivo occhio la dittatura che la rimpinzava di prebende, favori, agi, commesse. Quei borghesucci che «sognavano la sicurezza di un posto fisso che li strappasse alla precarietà».

Case popolari per tutti. Falso. Il provvedimento in merito venne adottato già nel 1903 per volontà del Deputato Luigi Luzzatti. Soprannominate “enti morali” dal 1906, le case popolari erano soggette a importanti sgravi fiscali. «Dal punto di vista urbanistico», continua Filippi, «il Fascismo fu molto più interessato a progetti che avessero un impatto di propaganda sulla popolazione: le costruzioni pubbliche si concentrarono su funzioni soprattutto simboliche e cerimoniali.» Filippi racconta anche di come le abitazioni popolari fossero in costante penuria durante il Fascismo, nonché luoghi sudici e sovraffollati.

Bonifica delle paludi. Falso. Nel pantheon delle panzane, quella delle bonifiche ha un posto d’onore («un caposaldo della bontà ed efficienza del regime», ironizza Filippi). Certamente molte zone, specialmente nel Lazio, necessitavano di un’importanze azione bonificatrice del territorio, ma questa non fu cosa iniziata dal Fascismo, bensì nel lontano 1878, quarantaquattro anni prima dell’inizio del regime. «Nel solo 1922, prima della marcia su Roma, furono ben venti i regi decreti che si occuparono di allargare le zone di intervento statale su terreni paludosi attraverso la costruzione di consorzi di bonifica sovvenzionati dallo Stato.»

Sconfitta della malaria. Falso. Secondo i nostalgici e gli “avvelenatori” della Storia, il regime fascista avrebbe estirpato una delle prime cause di morte nel mondo ancora oggi. Secondo quanto riportato da Filippi, i malati di malaria erano 188’000 nel 1923 e 250’000 l’anno dopo. Nel 1933 175’000, nel 1934 222’171. La malaria venne dichiarata sradicata in Italia dall’OMS nel 1970.

La classe dirigente era più onesta. Falso. Che l’Italia fosse un paese con un alto tasso di corruzione, era vero prima e dopo il Fascismo. Filippi dipinge il sistema liberale italiano degli anni Dieci e Venti come «corrotto in quanto vecchio e decrepito, ma corrotto anche in quanto ladro e parassita.» Ruberie di ogni genere e clientelismo non nascono sul calare degli anni Ottanta e nemmeno con il Fascismo, che tuttavia ampliò la dimensione del fenomeno corruttivo (fino ad arrivare ad una sorta di sotterranea Tangentopoli nera). Come quanto “scoperto” nell’era di Mani Pulite, anche sotto il Fascismo in Italia c’era «un malaffare diffuso, che interessava soprattutto gli strati medi del partito, il quale negli anni divenne un parassita della macchina statale. Il regime mise in piedi un vero e proprio sistema di clientele su base nazionale, stornando ricchezze pubbliche». Inoltre, «il problema della legalità investiva anche i singoli, che approfittavano spudoratamente della loro posizione di potere per imporre tangenti e accordare favori.»

La Mafia è stata sconfitta. Falso. Filippi narra di come il Fascismo «fu da subito amico del sistema siciliano che con la Mafia conviveva e faceva affari.» Inoltre, il regime impedì che i giornali riportassero le notizie di assalti mafiosi e violenze di ogni tipo in Meridione, creando così nella popolazione italiana la percezione di una Mafia sedata, se non sconfitta. «Al contempo aumentarono i reati violenti comuni: omicidi che venivano derubricati come delitti d’onore, furti che non erano più estorsioni mafiose, ma semplici rapine.» Escamotage abbastanza semplici da applicare in un regime totalitario.

Erano tutti più ricchi. Falso. Ancora oggi, nell’epoca in cui molti sono tentati dalla patetica retorica autarchica, anti-mercato e antimeritocratica del “Prima gli italiani” (che altro non vuol dire che “Prima io”), si sostiene che mangiare cento per cento italiano sia cosa buona giusta. Ma si dimentica che quando si mangiava cento per cento made in Italy gli italiani facevano la fame: e in parte è quanto avveniva sotto il Fascismo. Le prime manovre di stampo profondamente statalista-socialista (o di Terza Via fascista, che sotto il profilo dell’economia seguiva ricette “de sinistra” come quasi tutti i regimi totalitari) provocarono una diminuzione del potere d’acquisto del quindici per cento, cosa che colpì le classi lavoratrici e i poveri. Gli stessi che sostenevano che il Duce li aveva arricchiti. La differenza tra il reddito medio italiano con quello degli altri paesi si allargò durante il regime: un italiano di allora guadagnava il trentatré per cento di quello che guadagnava un francese e il venti per cento di un inglese, riporta Filippi.

Il debito pubblico era basso. Falso. Antico problema quello del debito pubblico in Italia. Tra il 1914 e il 1915 esso si attestò a 15’766 milioni di Lire (Lira sovrana!); le spese sopportate durante la Prima Guerra Mondiale peggiorarono le cose (92’858 milioni – aumento del 429 per cento – nel 1921-1922). Il regime peggiorò la situazione: la megalomania mussoliniana portò “l’impero” fascista ad espandersi in Africa (1935); quindi al supporto attivo a Francisco Franco (1936); dunque alla campagna d’Albania (1939). Sull’orlo della semi-bancarotta, il regime mise più volte le mani nelle tasche degli italiani (“prima gli italiani”, no?), con prelievi forzosi sin dal 1930.

Le donne avevano più diritti. Falso. Altro che Duce femminista! Quello del voto femminile era una presa in giro: il diritto di preferenza politica alle donne è stato sì istituito nel 1925, ma valeva solo per chi avesse compiuto venticinque anni e fosse madre o moglie dei caduti; «che potessero leggere e scrivere, che possedessero la licenza elementare o che avessero una quota di contributo erariale locale superiore alle cento Lire annue.» Il diritto di voto universale arrivò dopo la caduta della RSI, nel 1945.

Bugie, bugie e ancora bugie. Grandi operazioni pubblicitarie, propagandistiche; palesemente false e resistenti al tempo, prede dell’ignoranza della folla. È ovvio che in una dittatura la classe dirigente ha talmente tanto potere da poter travalicare persino i tempi di costruzione di opere che in regimi democratici richiederebbero più tempo, risorse e compromessi, ma attenzione a prestare orecchio alle belle parole che riabilitano idee e uomini e movimenti bocciati dalla Storia. Perché, come avverte Filippi «la base di un possibile futuro totalitario passa anche dalla riabilitazione del passato totalitario».

Amedeo Gasparini

www.amedeogasparini.com

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