Commento

Ambientalisti brutti e cattivi. O no?

Tra blocchi stradali e imbrattature di opere d’arte

Attivisti che imbrattano "I girasoli" di Van Gogh

Attiviste di Just Stop Oil hanno imbrattato i Girasoli di Van Gogh.

Incollarsi o imbrattare, ecco la soluzione. Incollarsi all’asfalto bloccando il traffico, meglio in ore di punta; incollare le mani ed anche la testa ad opere d’arte nei musei, dalla Primavera di Botticelli agli Uffizi di Firenze alla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer al museo Mauritshuis dell’Aia. Imbrattare con zuppa di pomodoro i Girasoli di Van Gogh alla National Gallery di Londra, con purè di patate Il pagliaio di Monet nel Museo Barberini di Potsdam. Nessun danno, c’è il vetro di protezione. Sulle strade si blocca il traffico facendo imbestialire camionisti e chi si reca al lavoro. Nei musei si aggrediscono capolavori noti a tutti, perfetti nell’assicurare il massimo di risonanza mediatica.

Scopo raggiunto per gli ambientalisti di Just Stop Oil, di Letzte GenerationExtinction Rebellion (XR), che lanciano all’attacco giovani e spesso giovanissimi con il loro bell’aspetto carico di rabbia, utopia e simpatia? Così agendo raggiungono davvero lo scopo di sensibilizzare sul clima, di far capire che siamo agli sgoccioli, che s’impone un’azione pronta e decisa? A prima vista no. Per il semplice motivo che, prima lezione di marketing, ogni messaggio ha un contenuto ma anche una modalità, un modo per relazionarsi con i destinatari. In questi casi l’obiettivo è chiaro e condiviso: salvare il pianeta, quindi il futuro dell’umanità. Chi non è d’accordo? Ma non regge sul piano della comunicazione il modo radicale, aggressivo e violento con il quale il messaggio viene imposto. Anzi suscita reazioni contrarie. Nessuno è disposto ad accettare che gli venga sottratto il proprio spazio di autodecisione, seppure per fini che condivide. Non può, non sa rinunciare alla libertà di movimento. Non sopporta l’invasione nel campo di valori come la “sacralità” di opere d’arte, prodotti e simboli della nostra civiltà già attaccata dall’esterno. Non accetta di dover rinunciare a diritti acquisiti e consolidati. L’intrusione è ancor più insopportabile perché attacca oltre allo spazio individuale anche quello comune della libertà e dei “valori”. Da qui la reazione di repulsa, di ribellione.

Sin qui siamo tutti o quasi d’accordo. Ma attenzione, perché l’attivismo di simili performances e quello dei clic di tastiera, per quanto generalmente esecrato, ha un suo ruolo nel portare avanti le istanze di gruppi o movimenti. Di diffonderle, di insinuarle nei modi di pensare, di farle accettare. Intanto si congiungono al vecchio principio di McLuhan secondo cui «il mezzo è il messaggio»: l’aggressività, la perentorietà, diciamo pure la violenza dell’azione più che un modo sono un fine. E poi si basano sulla potenza di media “caldi”, quelli che non esigono grande partecipazione da parte del pubblico. Come appunto i social e le perfomances vissute da spettatori, in poltrona. Contrari, ma pronti a lasciarsi convincere. Questione di tempo?

Dalmazio Ambrosioni

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