Anniversari

Caduta del fascismo: le testimonianze di chi ha vissuto in quegli anni

Fascismo

Il fascismo per me non può essere considerato una fede politica… il fascismo è l’antitesi di tutte le fedi politiche, perché opprime le fedi altrui” (Sandro Pertini)

È la notte tra il 24 e il 25 luglio del 1943 quando in Italia cade il fascismo. L’andamento della Seconda guerra mondiale per l’Italia era sfavorevole provocando nel Bel Paese una crisi sempre più profonda. Così dopo lo sbarco delle truppe inglesi e americane in Sicilia, il Gran Consiglio del fascismo convocato a Palazzo Venezia vota la sfiducia a Benito Mussolini e la restituzione di tutti i poteri politici e militari a Vittorio Emanuele III, il quale a sua volta licenzia il duce e lo fa arrestare. Così, l’organizzazione fascista crolla senza resistenza.

Libertà e dittatura. Guerra e Pace. Fascismo e democrazia. Sono questi i termini ripetuti a chi, oggi anziano, è cresciuto durante gli anni del fascismo. Intorno a un tavolo sette sguardi si incrociano, per qualche minuto si protrae il silenzio, nessuna parola, ma se gli occhi potessero parlare i loro direbbero tutti la stessa cosa. E così passa il tempo, fino a quando qualcuno fa un respiro profondo e con gli occhi lucidi confessa: «Sempre stati fieri di essere italiani, ma essere fascisti era un’altra cosa».

Non importa se destra o sinistra, ripetono insieme, una dittatura è una dittatura. «L’Italia per anni evocava silenziosamente per la libertà» afferma G.C (94 anni), sottolinea la parola silenziosamente perché nessuno poteva realmente dire ciò che pensava. Se all’inizio il fascismo porta speranza a molti italiani, ben presto le corde della dittatura si fanno sempre più strette e sempre più feroci; era un vero e proprio culto, dice qualcuno, tutto doveva rispecchiare il fascismo: l’educazione scolastica, il portamento, l’educazione a casa. «Volente o nolente eravamo tutti contaminati dal fascismo come se fosse un virus. Ecco, quasi come il coronavirus: era ovunque, anche dove non lo vedevi, era presente. E una cura sembrava impossibile».

Le loro voci sono basse quando parlano di fascismo e di Mussolini, quasi come se avessero paura che qualcuno possa sentirli. Saranno forse queste alcune delle cicatrici di una dittatura? E quando si parla di guerra, di fame e di disperazione la memoria è limpida nonostante siano passati oltre 50 anni. «Fin da piccolo tutto ciò che diceva Mussolini era considerato legge – confessa M.S (89 anni) – A scuola e fuori dalla scuola era tutto incentrato sul fascismo, ti dicevano che “amare il fascismo voleva dire amare l’Italia”; ma erano italiani anche gli ebrei che venivano portati via verso i campi di concentramento. E questo in Italia lo ha permesso il fascismo, e allora iniziai a pensare: “Amare il fascismo non vuol dire amare l’Italia”. E quando realizzi quello, capisci davvero cos’è la paura». E poi ancora silenzio, solo tante teste che annuiscono, con qualcuno che ricorda un compagno o una compagna che da quei campi non hanno fatto ritorno; e chi invece ricorda di un amico che a quel campo ci è stato portato con tutta la famiglia, ma che ha fatto ritorno dopo la guerra da solo: «Quando tornò dal campo di concentramento, dopo la fine della guerra, per molto tempo non disse nulla. Poi, un giorno, guardando un punto lontano mi disse: sai in quel campo ho abbracciato forte mia madre e mia sorella, perché sapevo che non ci saremmo più visti».
Quella che per molti appare come una semplice lezione di storia, per altri è una realtà vissuta e indelebile nella memoria. «Sentivamo le bombe e si scappava veloci ai rifugi. Noi possiamo sopravvivere a tutto quello che accade oggi, ma non so se i giovani di oggi sarebbero in grado di sopravvivere a quello che abbiamo vissuto e visto noi. Conosciamo il valore della libertà perché sappiamo cosa vuol dire non averla, sappiamo cosa vuol dire sognarla, volerla…rincorrerla. Non dimenticate mai cos’è il fascismo, perché tutto può tornare se non si ha le capacità di riconoscerne il pericolo. Ai giovani dico: state ben lontani dalla politica che condanna un gruppo di persone per il semplice fatto di esistere, di vivere».

M.Elisa Altese

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