Lutto

È morto l’architetto Arata Isozaki

Premio Pritzker nel 2019, Leone d’oro alla Mostra internazionale di architettura di Venezia nel 1996, Arata Isozaki è morto oggi a Tokyo, all’età di 91 anni. Oltre cento le sue opere diffuse in tutto il mondo, anche se in Italia il suo nome è legato soprattutto al progetto della Loggia degli Uffizi, la nuova uscita monumentale del museo fiorentino, mai realizzata. Progettista, urbanista e teorico, capace di fondere estetiche orientali e occidentali, modernismo e postmodernismo, globale e locale, nella sua prolifica carriera Isozaki ha applicato tecniche di costruzione di volta in volta differenti, in grado di interpretare il territorio e il contesto nel quale venivano progettati e costruiti i suoi edifici. Tra le sue opere più celebri – che spaziano da Tokyo a Milano, da Doha a Shanghai – il Museo di Arte Contemporanea di Los Angeles, il Palau Sant Jordi di Barcellona per i Giochi del 1992, il Museo Nazionale della Civiltà Egizia al Cairo, il National Convention Center del Qatar. In Italia, la Torre Allianz (il “Dritto”) di Milano con l’italiano Andrea Maffei e il Palasport Olimpico di Torino.

Con Maffei nel 1999 ha vinto la gara internazionale per la nuova uscita monumentale degli Uffizi, al centro di una disputa decennale, in particolare con Vittorio Sgarbi, appena tornato nel ruolo di sottosegretario alla Cultura. «Firenze, patria dei più grandi architetti della storia dell’umanità, non può non piangere questa grande personalità che ha disseminato il Giappone e il mondo intero di opere straordinarie», gli rende omaggio il sindaco Dario Nardella. Il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, sottolinea che «il suo linguaggio astratto e limpido era in parte ispirato dalla sua profonda conoscenza dell’architettura rinascimentale italiana».

Il 5 marzo 2019 Isozaki è stato insignito del Premio Pritzker, considerato il Nobel per l’Architettura, come «una delle figure più influenti per l’architettura contemporanea, in costante ricerca, senza mai la paura di provare nuove idee. La sua opera – aveva sottolineato la giuria – si basa su una profonda comprensione non solo dell’architettura, ma anche della filosofia, storia, teoria, cultura. Ha portato assieme Est e Ovest, non come imitazione o collage, ma attraverso sentieri nuovi». Una scelta legata anche alla sua generosità, per «l’appoggio dato ad altri architetti incoraggiandoli nei concorsi e in altre forme di collaborazione».

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