Commento

Iran, un altro novembre di sangue

Iran - Giovane dimostrante a Marivan

Gli iraniani non si arrendono e la loro protesta continua ormai da due mesi nonostante le rappresaglie del governo, che soprattutto in questa settimana si sono intensificate. Dal 16 settembre, giorno in cui è morta la 22enne Mahsa Amini, accusata di non aver indossato in modo corretto l’hijab, cinque persone sono già state condannate a morte per “corruzione sulla terra” e per essere “nemici di Dio” (“mohareb”). In migliaia gridano per le strade di Teheran e altre grandi città, ma soprattutto nei centri universitari, “libertà, libertà”, come pure lo slogan identificativo “donna, vita, libertà”; qualcuno si riferisce a Khamenei con “morte al dittatore”. Molti negozi e persino il Grand Bazaar di Teheran sono ormai chiusi. Questo nuovo “novembre di sangue” probabilmente non porterà ai 1500 morti del 2019, in occasione delle proteste contro il rincaro del carburante, ma esprime senz’altro una nuova qualità nella forma della lotta per i diritti dei cittadini, portando a 14 mila le persone imprigionate dall’inizio dei tumulti – secondo stime dell’ONU – e ad almeno 342 donne e uomini uccisi, tra cui 43 minorenni.

Nei giorni scorsi hanno fatto il giro del mondo le immagini della danza dei manifestanti intorno al falò ad Isfahan, nonché del bacio di due giovani in una strada trafficata a Shiraz – gesto non legale in Iran. Sono modi incoraggianti per celebrare la vita e segnali importanti in un contesto in cui una quattordicenne, Parmis Hamnava, muore per le bastonate della polizia a Iranshahr per aver strappato una foto di Khomeini, mentre due ragazzi di 16 anni, Kumar Daroftadeh e Sarina Saedi, vengono uccisi durante una manifestazione. Scene che hanno fatto infuriare il cancelliere tedesco Scholz («Che razza di governo è quello che spara contro il suo stesso popolo?»), e per cui l’UE ha deciso lunedì scorso nuove sanzioni contro l’Iran.

C’è però da dubitare che il regime iraniano possa essere costretto, nell’immediato, a cambiare volto, tant’è che già in seguito al fallimento dell’accordo sul nucleare nel 2018 e all’arrivo del nuovo presidente conservatore Raisi il paese ha voltato le spalle all’Occidente, fino a fornire oggi i droni alla Russia. E mentre la Guida suprema Khamenei accusa i nemici, in particolare Francia e Stati Uniti, di essere i veri attori dietro le proteste, il Consiglio islamico scandisce “Morte all’America”. Dunque, sebbene «la resistenza contro lo stato non finirà affatto presto», riporta il New York Times citando Mani Mostofi dell’ONG Milan, il regime non dimostra affatto segni di cedimento o debolezza nei confronti dei suoi «figli delinquenti», come si è espresso il portavoce del governo. Intanto la popolazione sta però compattandosi nella protesta, prendendo consapevolezza di sé e rivendicando il diritto alla libertà, all’uguaglianza e alla democrazia.

Markus Krienke

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